Archivi tag: racconto

BUCCE

La porta cigolava come sempre, così come la maniglia montata al contrario.

Lo scoccare dello scurino che sbatteva sul muro sanciva l’ingresso in casa.

Tutto era come sempre: perfettamente al suo posto. Un odore di cenere e agrumi trovava spazio nel pulviscolo che galleggiava nell’aria, dei raggi di luce caldissima lo trapassavano, filtrati dalla porta d’ingresso quasi socchiusa. Avrei potuto percorrerla a occhi chiusi quella casa. Esplorata fin da bambino, sui muri erano incisi i segni dei miei palmi. Con le suole delle scarpe cercavo il pavimento ruvido, freddo come sempre, freddo come il tempo del ricordo. 

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VIAGGIO ME

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Musica_Walter Mazzaccaro|Luglio

Voce_AccademiDeiSensi|Masa

Immagine_SaraUsai

https://soundcloud.com/accademiadeisensi/masa-viaggio-me

 

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VIAGGIO ME

248345_468235636556489_306342236_nNel primo paese mi conoscono, la mia casa è ancora troppo vicina, i vecchi mi guardano sospettosi e si interrogano sulla mia provenienza. Mi immagino inserito nell’albero genealogico di una famiglia di scemi con un parente ciclista, una famiglia di gente ricca con una collezione di bici d’epoca. Ma i pensieri durano poco, corrono, in pochi secondi sei fuori dalle case, fuori dagli sguardi, fuori dalla mano dell’uomo. È quando esci da tutto questo ammasso di cocci e carne che il paesaggio si avvolge e si srotola, e le colline prendono quota come le dinamiche di una bella canzone, gialle come il sole, nude come al solito d’estate. In tutto questo movimento di erba e grano mollo il manubrio della bici per sentire se Continua a leggere

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BUONANOTTE

DSC_0082zMi sono chiesto perché, perché dormi in terra alle tre del mattino, ti sfrecciano le auto a fianco e per poco le bici di  città non  ti schiacciano l’orecchio, maledetti oggetti vintage a due ruote che nemmeno ti salutano, non ti vogliono svegliare.

Partono le fantasie di chi ti sta intorno o ti passa vicino, un viaggiatore senza meta, si potresti essere un viaggiatore senza meta che voleva scrivere qualche canzone e si è affezionato a un cane, Dolly; ora magari è un po vecchia, è da tanto che state in giro. Sarei curioso di chiederti come ti chiami ma stai dormendo o almeno hai gli occhi chiusi e non ti lamenti, anche se le macchine ti sfrecciano a pochi centimetri dalla fronte e le zanzare di Cagliari ti ronzano sui lobi. La brezza primaverile muove un ciuffo biondo che sbuca dal cappuccio, il colore dei tuoi capelli è colore di uomo venuto da lontano, uomo che viaggia da tanto. Si dice che a una sarda hai proprio strappato il cuore, ragazza bella e con i fianchi larghi, occhi di cenere rotti dal tuo incantesimo; sono passati lenti i secondi in cui vi siete guardati e avete cercato di passarvi qualcosa con il solo lavoro delle vostre pupille, troppa l’ansia  Continua a leggere

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LA CARAVELLA

Pierluigi Nervi_Padiglione del Sale_Cagliari  (1955-58)

Vedendola ho sempre immaginato fosse una nave incappata in una delle solite giornate ventose di Cagliari, le giornate in cui il maestrale ti spettina e ti trascina solo dove lui sa, a Sud-Est verso le spiagge calde dell’Africa. Vedendola ho pensato fosse inciampata negli scogli di Sant’Elia, sballottata dalle onde violente dell’autunno  e ribaltata a poche decine di metri dal mare, ho immaginato fosse li da sempre, o forse da qualche secolo, ancora carica di genti e animali esotici. Ho creduto che le genti là dentro avessero iniziato a smontare i legni e a costruirsi delle case, piccole case di legno, il timone un lampadario, le vele i tendaggi, il guscio dello scafo la loro volta celeste, l’ossatura il disegno del loro piccolo universo.

 Ho sempre creduto che la notte, la dentro, si sprigionassero melodie d’ogni terra, lingue d’ogni continente e odori d’ogni angolo del nostro universo, odori di prati Irlandesi e di tulipani Olandesi, lavanda Francese e rosmarino sardo. Ho immaginato le facce e le voci di quelle genti. Li ho visti muoversi in ordine e a tempo nel grande scafo inondato dalla loro musica, li ho visti in cerchio che battevano i piedi sui legni capovolti e fare dei propri passi tamburi. Li ho visti uno ad uno suonare strumenti di corallo, arpe di capelli e nacchere di noci, li ho sentiti intonare canti a coro e suonare le zampogne quando il sole è alto anche per loro, quando qualche spiraglio di luce trapassa il loro scafo ormai vecchio.

Ho immaginato delle genti eterne sotto quell’enorme barca ribaltata, non ho dato peso alla loro fame o alla loro angoscia, non ho fatto caso alla loro malinconia. Guardando quel guscio ho pensato e basta, un enorme deposito di sale mi ha fatto pensare così tanto.

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