‘Dove cazzo vai se piove?’
‘Seguimi e non lagnare come sempre, e attenta a dove metti i piedi!’
Manco a dirlo, Marta, era finita in una pozza; acqua fino alle ginocchia e urla per tre minuti, tre minuti sotto l’acqua e dentro l’acqua. Luca in qualche modo era riuscito a tirarla fuori, tra le risate e i ‘mi fai male se mi afferri li, e i vestiti pieni di fango sceso dalla montagna. A guardarli, un estraneo avrebbe giurato che quei due erano nati assieme. A guardarli bene, anche un estraneo si sarebbe accorto che sotto i vestiti bagnati dal fango e dalla pioggia, le loro mani e i loro corpi non aspettavano altro se non un tetto, un riparo per poi scoprirsi a vicenda, anche con il gelo, con quella pioggia la dietro che se la cantava.
‘Altri cento metri e ci siamo, almeno finché Dio non si calma.’
‘Cento metri quanto? Come quelli di mio padre? Che poi dopo venti minuti ti dice che ne mancano venti?’
‘Che lavoro fa tuo padre? Cento metri sono cento metri.’
Marta saltò in una pozza, dopo essersi assicurata che non fosse abbastanza profonda dal perdercisi dentro. La svuotò completamente sul giubbotto di Luca, che non disse nemmeno una parola. A cinquanta passi da loro qualcuno aveva ben pensato di costruire una stazione per i treni, fuori dal centro abitato, a un chilometro dall’ultima casa, dove la pioggia sembrava essere sempre più battente. L’involucro bianco dell’edificio era illuminato a giorno dai lampi che vibravano nel cielo; lungo la parete più lunga, l’ingresso era chiuso da delle tavole rappezzate male, basto una lieve spinta e la reggia fu pronta.
Si sedettero su una parete completamente vetrata, gelida come era gelida l’aria che si respirava fuori. Il freddo misto a polvere li fece rannicchiare l’uno accanto all’altro. Marta prese il braccio di luca e se lo porto intorno al collo, in silenzio e con movimenti lentissimi, quasi a cercare il limite estremo dei gesti, le gambe dell’uno si intrecciarono in un disegno morbido. Luca provò a riscaldarle il collo con il respiro; con gli occhi guardava il vetro, l’acqua scivolava velocissima, pioveva come se qualcuno avesse bestemmiato per mesi contro il cielo, ma era tutto perfetto. Non si udì una parola per mezz’ora, i capelli di Marta scivolavano sul petto di Luca, con l’orecchio sul petto, ad ascoltare che tutto andasse bene.
Fuori il vento iniziava a portare la pioggia a destra e a sinistra, in vortici simili ad una bufera. Nella vetrata i due generarono un bagliore di affanni che il calore delle loro schiene ripuliva di tanto in tanto, solo l’alba avrebbe riportato la timidezza tra i loro corpi.